25 – 26 novembre. Da: I Quaderni del 1943 di Maria Valtorta

25 novembre 1943.

 

Dice Gesù:

«Tutte le anime sono create dal pensiero del Padre che manda queste sue figlie ad animare i corpi generati sulla Terra. Ma l’anima della Purissima non è scaturita unicamente dal Pensiero del Padre.

Dal vortice di ardori che è la nostra Trinità santa partono i tre amori che convergono nel centro, là dove la nostra Divinità si unifica e splende. Là è il vertice dell’Amore fatto dai tre amori insieme riuniti, e per portare un paragone umano potrei dire che là è il cuore della nostra santa Trinità.

Da quel cuore è venuta l’anima di Maria. Come scintilla scagliata dalla Volontà d’amore nostra, Ella si è generata dai nostri tre amori e dai nostri tre desideri di possederla qual figlia, qual madre, qual sposa, ed a crearla abbiamo messo ogni nostra perfezione perché Ella era destinata ad esser la pietra dell’edificio del Tempio vero, l’arca del patto nuovo, l’inizio della redenzione che come tutte le cose di Dio porta del Dio Trino il segno simbolico del tre.

Primo tempo della redenzione è la creazione – opera più specialmente del Padre – dell’anima senza macchia destinata a scendere per abitare una carne che sarebbe stata tabernacolo a Dio, e l’amore del Figlio e dello Spirito Santo vegliarono beati alla sua formazione. Secondo tempo è quando, per opera dello Spirito, Quella senza colpa, tutta bella e pura, fuse il suo ardore di vergine innamorata di Dio all’ardore dell’Amore di Dio, e per opera dello Spirito generò il Cristo alle genti. Terzo tempo, quando il Cristo compi la sua missione di Redentore morendo sulla Croce.

Anche allora Maria era unita all’opera di Dio e per opera del Figlio divenne Corredentrice e Vittima con Lui. Indissolubilmente legata a Dio e alla Volontà di Dio, Ella, in ogni momento delle tappe del cammino della Redenzione, è presente e senza Maria non avreste avuto il Redentore.

La Madre è il fiore completamente sbocciato in tutta la porpora della sua veste regale. Ma la Madre, per essere tale, dovette non solo avere inizio nel boccio inviolato della Vergine candidissima, ma sibbene nel seme non ancora nato dal quale sorse poi lo stelo, il boccio, il fiore.

Nel celebrare la data del Concepimento immacolato di Maria, frutto soave del nostro amore e portatrice del Frutto di amore infinito, consacrato alla vostra salvezza che Io sono, abbiate presente non solo Maria testé concepita, ma la sua origine – tre volte santa perché a crearla concorsero i nostri tre amori – e la sua speciale dignità di iniziatrice del perdono dell’Eterno all’uomo.

Alba serena del giorno della Redenzione, Ella viene a voi nel suo casto fulgore di Stella mattutina e di alba paradisiaca. La sua cuna che si prepara a riceverla precorre di poco la mia, e il suo sorriso vi insegna il Gloria da cantare all’Eterno che nella sua Carità perfettissima ha compiuto per voi i due amorosi prodigi del Concepimento immacolato di Maria e della mia incarnazione.»


26 novembre.

 

Dice Gesù:

«Mettiamo una pausa nel commento di Isaia. Sei tanto stanca, amica mia, e tanto sofferente che hai bisogno di un conforto e non di sovrappeso. Le mie parole d’altronde, non sono dissonanti al soggetto che trattiamo. Ma anzi sono come un “a solo” nell’epopea profetica che annuncia la mia venuta, la mia missione, la mia gloria.

Faremo così un regalo al Padre che ti guida e che è desideroso di udire parlare di Maria, come un bambino che ha la mamma lontana e vuole sapere di lei per sempre più conoscerla e amarla. E in verità ti dico che Padre Romualdo è proprio un “figlio”[1] per mia Madre e mia Madre è proprio “mamma” per lui.

Non tutti i suoi compagni sono simili a lui sotto la veste che li fa uguali. È il cuore che è diverso. Ed è il cuore che è tutto. Nel suo non è malizia, non è superbia, non è durezza, non è umanità di senso e di mente. Come ha deposto dell’uomo l’abito borghese per assumere assisa sacra, così s’è spogliato dell’umanità per divenire unicamente servo del suo Signore, portatore del Cristo, luce e voce di Dio e della Madre mia e sua.

Il suo è un cuore di bimbo governante una mente adulta. E se per essere amati da Me e conquistare il Cielo occorre saper divenire simili a fanciulli[2], uguale cosa è per essere amati dalla Madre mia la quale, quando vede un cuore che la rispecchia in purezza, umiltà, semplicità, fede, carità, con la stessa facilità d’un fanciullo prende quel cuore e se lo stringe al Cuore sul quale Io ho dormito.

Non v’è un mese durante l’anno che non porti come gemma nel castone dei suoi giorni una festa di Maria. Ma il dicembre è mese mariano per eccellenza perché contempla le due glorie più alte di Maria: la Concezione immacolata e la Maternità divina e verginale. Ti voglio aprire squarci di riflessione su questa maternità.

Nulla impediva a Dio di far nascere il suo Figlio nella città di Gerusalemme. Capitale della Palestina, centro della fede e del potere, a mente umana potrebbe parere che fosse la città più adatta alla nascita del Re dei Giudei. Ma le viste di Dio differiscono da quelle degli uomini.

Gerusalemme non era più santa. Portava quel nome, ma la corruzione era in tutti i suoi strati: dal Tempio alla Reggia, dalle milizie ai cittadini. Gerusalemme aveva già tutto di quanto aveva voluto e come per il ricco Epulone[3] è il caso di dare ad essa la risposta di Abramo: “Ricordati che tu avesti tutti i beni”. Tutti meno l’unico necessario perché da essa respinto: “il bene del possesso di Dio”.

Superbia, arroganza, avarizia, durezza, umana scienza, ricchezza, lusso e lussuria. Tutto era in essa. E il suo ventre si satollava di questi cibi umani lasciando morire di fame il povero Lazzaro del suo spirito, il quale, pieno di piaghe, bramava sfamarsi con il cibo di Dio, ma non trovava che le pietre pesanti delle pratiche farisaiche in luogo del miele di Dio.

Dio si ritira da dove è tutto ciò che non è Lui e dove nessuno cerca mettere in quel “tutto” Lui, per fare del tutto base al trono del Signore, al quale tutte le cose della Terra vanno sottoposte.

Voi, invece, fate delle cose della Terra il culmine del vostro pensiero sovrapponendole a Dio. Attenti che non vi avvenga ciò che è avvenuto a Gerusalemme. Già vi sta accadendo poiché Dio, non più cercato da voi, si ritira lasciandovi nel vostro “tutto” labile e malvagio, lasciandovi a contare le vostre ricchezze maledette, false, demoniache. Una sola è la moneta che ha valore in un tesoro. Una sola. E voi non la possedete.

Il dono che avrebbe fatto grande in eterno Gerusalemme le fu dunque levato. Non la nascita e non la morte del Cristo avrebbero rinserrato le sue mura, ma solo il delitto della condanna del Cristo, contro la quale anche le pietre si ribellarono scoscendendosi alla mia morte[4] e crollando ubbidienti al volere di Dio, quando Gerusalemme fu rasa da coloro al cui inutilmente troppo ossequiato potere avevano dato, come agnello da sgozzare, Gesù di Nazareth.

Questo avviene, figli, quando non si rispetta la misura. Nasce il delitto e nasce la conseguente rovina. L’errore che nega Dio sostituendo ad Esso gli dèi delle passioni umane, fa sì che Dio vi abbandoni e vi levi la benedizione del permanere fra voi. L’idolatria verso gli uomini fa sì che gli idolatrati sino a divenire assassini per loro, si mutino in esecutori di punizione, poiché sui servi, sugli schiavi, è lecito agitare la sferza e far cadere la frusta. È lecito là dove non è viva la Legge di Cristo. E idolatri e idolatrati quella Legge l’hanno rinnegata. Perciò agli asserviti danno il pane della loro galera: distruzione e catene.

Quando, come frutto maturo prossimo a cadere dal ramo, il Figlio dell’Uomo fu prossimo a venire Luce nel mondo, la Volontà di Colui, rispetto al quale i più potenti imperatori sono simili a festuca di paglia su una via maestra, predispose il Cesare a promulgare l’Editto[5].

Non la Città santa di nome ma decaduta per suo volere malvagio dalla sua santità, ma la città-origine in cui ancora aleggiava la fede di Davide mio servo, era quella che nel suo perimetro doveva accogliere il prodigio dell’amore. A Nazareth, la spregiata dai Giudei, di Me si incinse la Benedetta. A Betlemme la decaduta, secondo la supposizione superba dei Giudei, doveva Maria posare il suo bacio di Vergine sul Figlio di Dio e suo, apparso con fulgore di stella nella grotta da secoli ordinata a riceverlo.

È agli umili che va Dio. Questo vi spieghi perché gli eletti ad essere annunziatori d’una grazia, conoscitori di una apparizione, portatori di una volontà divina, diffusori della Parola, sono generalmente dei poveri, agli occhi del mondo, sui quali Dio si posa col suo Spirito per aprire loro occhi e orecchi al super-senso, che vede oltre i confini dell’umano nelle plaghe di Dio.

Quando Io voglio e, per quanto voglio, posso. Posso atterrare un gigante dell’ateismo o del razionalismo con un sol tocco del mio volere, perché sono della stirpe di Davide atterratore di Golia[6], e sono soprattutto il Potere, la Forza, il Volere perfetto. Posso con una carezza posata su chi, amoroso, mi tende lo spirito, aprire, con un solo sfiorare del pollice, i sensi spirituali alla vista e all’udito delle cose soprannaturali e farlo capace di “conoscere Dio” così come una sposa conosce lo sposo.

A domani, figlia. Verrò per portarti dietro a Maria che lascia la casa di Nazareth per andare a Betlemme. Riposa in pace.»

 

 

 

 

 


[1] figlio, analoga espressione il 13 agosto.

 

 

[2] divenire simili a fanciulli, come è detto in Matteo 18, 3-4.

 

 

[3] il ricco Epulone della parabola narrata in Luca 16, 19-31.

 

 

[4] scoscendendosi alla mia morte, come si legge in Matteo 27, 51.

 

 

[5] l’Editto di cui si parla in Luca 2, 1.

 

 

[6] atterratore di Golia, come si narra in 1 Samuele 17.

 

 

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